Il disturbo fonetico-fonologico

L’apprendimento della lingua segue traiettorie che variano nei tempi e nelle modalità con cui vengono perseguiti e raggiunti i target linguistici, stabili e maturi, dell’adulto.

Ciò avviene perché i bambini e le famiglie sono tutti diversi tra di loro, perché biologia e ambiente si confrontano e si influenzano reciprocamente sempre in maniera unica; perché lo sviluppo del linguaggio si integra nello sviluppo cognitivo e affettivo del bambino in un continuum che di regola non prevede salti, ma passaggi attraverso fasi ciascuna propedeutica rispetto alla successiva.

Ai tanti profili evolutivi “normali” si affiancano profili “sospetti” o “a rischio” di bambini che potrebbero sviluppare un disturbo (non più un ritardo) e, quindi, avere necessità di essere sostenuti nel loro percorso. Un bambino che ha una “cattiva pronuncia”, ad esempio, potrebbe avere più in avanti problemi nell’organizzazione morfosintattica del discorso o, negli anni della scolarizzazione, difficoltà negli apprendimenti.

Disturbo fonetico fonologico

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Nell’apprendere il sistema fonologico (dei suoni) della sua lingua (o delle sue lingue; il bilinguismo bilanciato e simultaneo non è un problema, anzi, potrebbe essere una risorsa) il bambino, che ha un ruolo attivo, progressivamente si avvicina al linguaggio adulto utilizzando delle strategie di semplificazione (processi) dettate dall’immaturità delle proprie capacità articolatorie.

Nello sviluppo tipico, maturando dal punto di vista anatomo-funzionale, sarà solo tra i 3 anni e mezzo e i 4 anni che, nella maggioranza dei casi, le produzioni linguistiche del bambino assomiglieranno sempre più a quelle dell’adulto.

Oltre a questa età, se dovessero persistere difficoltà consistenti e non isolate di pronuncia, si potrebbe sospettare la presenza di quelli che vengono anche indicati come SSD (Speech Sound Disorders) o disturbi fonetico-fonologici, caratterizzati da alterazioni nella “produzione dei suoni” (cancellazioni-omissioni di consonante o di vocale, di sillaba, aggiunte di suoni, sostituzioni, distorsioni, etc.); i bambini pronuncerebbero male i suoni della lingua perché sono poco abili dal punto di vista motorio (ad esempio non riescono a pronunciare la /r/ perché hanno un frenulo linguale corto) o perché non colgono, e quindi non producono, le differenze seppur minime tra i suoni in grado di determinare una differenza di significato tra due parole (/palla/ /balla/); in questo caso la difficoltà non è imputabile a patologie o sindromi particolari (ad es. genetiche o malformative), ma a possibili “sgranature funzionali” dei sistemi di controllo del linguaggio, come la memoria a breve termine, l’attenzione, piccoli problemi uditivi etc.

La prevalenza di tali disturbi a 3 anni è compresa fra il 6 e il 15% e tra l’1 e il 6% a 6 anni, poi il fenomeno si attenua nel passaggio dall’età prescolare a quella scolare.

Gli enunciati verbali dei bambini con disturbo fonetico-fonologico sono meno intellegibili di quelli di bambini con sviluppo tipico; il 50% delle persone non familiari dovrebbero riconoscere le parole e le frasi di un bambino di 2 anni; la percentuale sale al 50-75% con i bambini di 3 anni, supera il 75% e si avvicina al 100% dopo i 3 anni.

Il disturbo fonetico-fonologico isolato ha un’evoluzione decisamente più favorevole e migliori risultati scolastici.

Molte volte, però, tale disturbo fa parte di un quadro più complesso, associandosi a difficoltà lessicali, morfosintattiche o della comprensione linguistica, configurando così i quadri dei disturbi primari (una volta specifici) del linguaggio verbale, tutti a forte rischio di disturbi dell’apprendimento scolastico che ricorrono con frequenza 4-5 volte superiore rispetto a quanto non accada nei bambini senza alcuna difficoltà linguistica.

Cosa fare quando un bambino parla male?

È possibile anche “aspettare e vedere”, ma con estrema attenzione, sotto la supervisione di uno specialista (il pediatra innanzitutto).

Se la situazione non evolve, se il bambino continua a non farsi capire dagli altri (soprattutto gli estranei), se produce anche poche parole è, invece, assolutamente importante rivolgersi a uno specialista (neuropsichiatra infantile, foniatra, logopedista). L’identificazione tempestiva, tra i 18 e i 36 mesi, dei bambini che tardano a parlare o che parlano male, consente, se è il caso, di intervenire precocemente, di identificare o predire non solo un disturbo linguistico ma anche altri disturbi del neuro-sviluppo presenti complessivamente in circa il 20-22% dei bambini che tardano a parlare; di ridurre, in ogni caso, il peso delle conseguenze psicologiche e sociali collegabili a qualsiasi disturbo della comunicazione.

L’intervento precoce consiste nella presa in carico del bambino per migliorarne le abilità linguistiche (e di pronuncia). Lo specialista dedicato a questo è il logopedista che oltre alle molteplici e più tradizionali tecniche di abilitazione può avvalersi dell’aiuto del VoysAnalysis ©

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